(Rielaborato dall'autore) Contributo alla conferenza Coping with
stress and depression related problems in Europe [Far fronte alla
depressione, allo stress, e ai problemi collegati], organizzato
dall' Organizzazione Mondiale della Salute, Commissione Europea,
Ministero Federale per gli Affari Sociali, Salute Mentale (Belgio),
Bruxelles, 25-27 Ottobre, 2001. Pubblicata in ENUSP NEWSLETTER 2001
& 2002; traduz. a cura di No!Pazzia, agosto 2003.
La depressione può avere molte cause: situazione politica e psicosociale,
disturbi neurologici, disordini del metabolismo, età avanzata, sostanze
tossiche, farmaci. I medici di solito vedono le depressioni come un difetto organico
o supposto tale, per il quale prescrivono farmaci psichiatrici od elettrochock.
E' duro per loro accettare che molti farmaci psichiatrici possono causare o aumentare
la depressione e la suicidalità. Ma nella letteratura specialistica medica
e farmacologica ci sono molte pubblicazioni che menzionano effetti depressivi
in conseguenza di farmaci psichiatrici. In particolare i cosiddetti farmaci antipsicotici,
i neurolettici, quale l'aloperidolo (un nome commerciale Haldol) e la clozapina
(un nome commerciale Leponex) spesso sono di iniziazione alla depressione e al
suicidio. Un registro dei suicidi con una particolare menzione al farmaco psichiatrico
associato, o all'elettrochock, alle costrizioni fisiche, alle altre forme di costrizioni
psichiatriche, potrebbe essere una efficace forma di prevenzione per ridurre il
presentarsi di depressione e suicidio.
Depressione e suicidalità associate ai farmaci
I neurolettici hanno un effetto bloccante principalmente
nei riguardi del neurotrasmettitore dopamina, col risultato di provocare la malattia
di Parkinson. Sono un complesso di sintomi, caratterizzati dal camminare inclinati
in avanti, tremori ai muscoli, parlare impastato. La malattia ('morbo') di Parkinson
è la conseguenza diretta del blocco della dopamina. La potenza dei neurolettici
è definita dal loro potere di creare il morbo di Parkinson; questo non
tanto è un indesiderato effetto collaterale, ma il principale effetto terapeutico
secondo la definizione degli psichiatri.
Il morbo di Parkinson, che è principalmente una malattia
dell'apparato motorio, comporta però anche alterazioni
a livello psichico. I neurologi chiamano ciò "personalità
parkinsoniana". E' un complesso di sintomi includenti l'apatia,
la perdita di volontà, la depressione e la suicidalità,
nonché stati confusionali e delirio (Fünfgeld 1967,
pp. 3-25). Nel 1995, a proposito del dopo le prime somministrazioni
del neurolettico prototipo (Largactil, Megaphen e Thorazina),
lo psichiatra tedesco Hoimar von Ditfurth rilevò il parallelo
tra l'affievolimento emozionale dovuto al Parkinson e l'affievolimento
emozionale dopo il trattamento neurolettico:
"Per quel che si può dedurre, appare come se
le alterazioni psichiche provocate dal Megaphen in particolare
a livello di emozioni siano della stessa natura della "effettiva
restrizione ed affievolimento" che si registra molto
spesso nei parkinsonisti postencefalici (pazienti che hanno
il parkinson dopo aver avuto una acuta infiammazione encefalica,
P.L.)." (p. 56)
Quindi la depressione e la suicidalità sono effetti normali dei neurolettici,
e gli psichiatri accettano ciò senza farsi problemi.
Frank J. Ayd (1975) del Psychiatric Department del Franklin Square Hospital
in Baltimore, USA, ha scritto:
"C'è ormai un accordo generale sul fatto che
le depressioni gravi che possono condurre al suicidio possono
apparire durante il trattamento con qualsiasi neurolettico
depot, come anche con qualsiasi neurolettico preso per via
orale. Questi cambiamenti d' umore depressivi possono apparire
in qualsiasi momento durante la terapia con neurolettici depot.
Alcuni clinici hanno notato l' insorgere di depressione subito
dopo l' inizio del trattamento; altri l' hanno notato mesi
od anni dopo l' inizio." (p. 497)
Otto Benkert e Hanns Hippius (1980), due psichiatri tedeschi, così hanno
risposto alla domanda se la suicidalità possa forse essere causata da un
dosaggio eccessivo:
"La depressione, la suicidalità, gli stati di
eccitamento e delirio, derivati dall'azione di farmaci, avvengono
in genere sotto le dosi normalmente prescritte dal medico
curante." (p. 258)
Dati sperimentali circa i suicidi causati da farmaci psichiatrici sono difficili
da ottenersi per molte ragioni, come scrivono gli stessi psichiatri. Gli psichiatri
non incolpano né guardano alla loro successione di trattamenti quale causa
di depressione(Lehmann 1996, p. 111). Asusmus Finzen del dipartimento di psichiatria
dell' Università di Berna, Svizzera, ha mostrato che il verosimile numero
di suicidi avvenuti in istituti psichiatrici è grande, troppo. Dei dati
precisi sono comunque difficili da rilevare, poiché:
"... .Nella cartella clinica e nei rapporti di dismissione
dal reparto, spesso non è possibile trovare notizie
di pazienti suicidati o morti. Se il suicidio è avvenuto
durante una licenza a casa, la data della dismissione può
essere retrodatata. Se il tentativo di suicidio non conduce
a morte immediata, nella cartella clinica e nei rapporti statistici
il paziente può essere considerato come [non più
in carico, ma] spostato ad una clinica di medicina interna
o chirurgica." (1988, p. 45)
R. de Alarcon e M.W.P. Carney, due psichiatri inglesi, hanno studiato il cambiamento d'umore verso la depressione
dopo la somministrazione di neurolettici in relazione ad altri parametri concomitanti.
Nel British Medical Journal essi riferiscono di suicidi sotto l'influenza
di fluofenazina (un nome commerciale Moditen), somministrata come componente in
un trattamento in comunità, e descrivono l'effetto della fluofenazina in
un uomo di 39 anni che aveva già tentato di suicidarsi due volte sempre
sotto l'influenza di questo farmaco. Avendo gli psichiatri capito che quest'uomo
come regola sviluppava le idee suicide alcuni giorni dopo l'iniezione depot che
avveniva ogni due settimane, essi vollero accettarsi con i propri occhi di come
avveniva il peggioramento d'umore. Nell'istituto psichiatrico, quest'uomo fu osservato
per un periodo di quattro settimane senza fare il trattamento con il neurolettico,
e non si notò niente di notevole quanto a cambiamento d'umore. Poi gli
fu inettato 25 mg di fluofenaziana intramuscolare:
"Durante la sua permanenza in ospedale fu intervistato
da uno di noi (R. de A.) tre volte ogni settimana. Per la
prima settimana dopo l'iniezione, non fu intervistato di giorno,
ma la sua condizione è stata discussa con l'infermiere
capoguardia e letti attentamente i rapporti dell'infermiere
capoguardia. Ricevette l'iniezione d'inizio studio un mercoledì
alle 3 del pomeriggio; a metà pomeriggio del giorno
successivo fu trovato giù di corda, voleva star per
conto suo, con nessun desiderio di parlare con nessuno, guardare
la televisione, leggere. Restò a letto fino alle quattro
del pomeriggio. Nell'opinione dell'infermiera che lo aveva
in carico è stato a rischio di suicidio. Nell'intervista
di venerdì la variazione del suo aspetto esterno era
notevole appariva truce, non rispose con un sorriso
ad una facezia, non c'era conversazione spontanea. Le sue
risposte erano limitate allo stretto necessario. Negò
di avere idee paranoiche o ipocondriache né pensieri
di sentirsi in colpa. Semplicemente disse che si sentiva molto
giù e che se fosse stato da solo in una camera ammobiliata,
avrebbe posto termine alla sua vita. Il venerdì sera
ci fu un pò di miglioramento, e quando fu intervistato
di nuova sabato era ritornato al suo solito normale sé
stesso. (de Alarcon e Carney hanno offerto come loro conclusione,
P.L.) che alcuni pazienti possono diventare gravemente depressi
per un breve periodo dopo iniezioni di fluofenazina enantato
o decanato. Finora non si sono stabiliti protocolli su quando
e in quali casi questo è probabile che avvenga. La
mancanza di aver avuto simili effetti negativi nel passato
non è una indicazione che non ci possano essere nel
futuro. In particolare nel caso in studio, il paziente aveva
ricevuto fluofenazina enantato per più di sei mesi
prima che incominciò a reagire ripetutamente all'iniezione
con una grave depressione, e lo stesso comportamento si ebbe
in altri casi." (1969, pp. 565-566)
In uno studio controllato con placebo, lo psichiatra Peter
Müller del dipartimento di psichiatria di Göttingen,
Germania, ha trovato che una percentuale molto più alta
di pazienti trattati con farmaci psichiatrici ha sintomi depressivi,
rispetto pazienti trattati a placebo. A riguardo di dimiunuire
o dismettere farmaci psichiatrici egli ha scritto:
"Ci fu cambiamento verso un umore depresso in 41 casi
su 47, in due casi non ci fu cambiamento, in quatto casi l'effetto
fu dubbio. E' stato molto sorprendente vedere che in un numero
predominante di casi la sola riduzione della dose (normalmente
alla metà di quella iniziale) ha condotto ad un miglioramento
rispetto i sintomi depressivi. Talvolta c'è stato un
miglioramento solo parziale, ma che dette tuttavia un netto
sollievo al paziente. Però in altri pazienti, o negli
stessi in cui il miglioramento era stato solo leggero dopo
aver ridotto la dose, una dismissione completa li fece stare
molto meglio. Alcuni pazienti hanno riferito che solo ora
essi si sentivano completamente sani, come non lo erano da
molto prima della depressione. I sintomi depressivi, che erano
stati giudicati non migliorabili da alcuni psichiatri e che
erano stati percepiti come il venir fuori un disordine organico,
scomparirono completamente. La possibile argomentazione che
questi potrebbero essere effetti psico-reattivi prodotti dal
miglioramento psicologico del paziente dovuto alla conoscenza
della dismissione dei farmaci è da rifiutarsi, dato
che pressoché tutti i pazienti avevano ricevuto iniezioni
depot e non erano stati informati né delle dosi, né
se era un placebo. (...). Il loro cambiamento fu in alcuni
casi molto netto anche a loro stessi, ai loro parenti e ai
medici esaminanti. I pazienti riportarono che ora essi si
sentivano di nuovo completamente bene. Nel gruppo dei pazienti
ancora trattati con farmaci psichiatrici, nettamente così
non era. Questi risultati parlano molto nettamente se ci siano
cause genetiche da contrastare con i farmaci e contro lo sviluppo
di una psichiatria come cura di patologie." (1981, pp.
52-53, 64)
Müller così riassume:
"Sindromi depressive dopo la remissione della psicosi
e sotto trattamento con farmaci psichiatrici, non sono rare,
anzi avvengono in circa i due terzi di pazienti, talvolta
anche più frequentemente, specialmente se sono usate
iniezioni depot. Senza trattamento con farmaci psichiatrici,
dopo la riduzione completa, le sindromi depressive si rinvengono
solo in casi eccezionali." (ibid., p. 72)
Queste pubblicazioni di Müller sono sostenute da molti
suoi altri colleghi (Lehmann 1996, pp. 57-87, 109-115). Ad es.
Raymond Battegay e Annemarie Gehring (1968) del Psychiatric
Department della Università di Basel, Switzerland, i
quali mettono in guardia, dopo un paragone tra i percorsi di
trattamento prima e dopo l'era dei farmaci psichiatrici:
"Durante gli ultimi anni, è stato ripetutamente
descritto il viraggio delle sindromi schizofreniche a sindromi
depressive. Sempre più schizofrenie mostrano ora un
percorso verso depressione-apatia. E' diventato chiaro che
quel che si sviluppa sotto l'influenza dei farmaci psichiatrici,
è spesso proprio quello che si vorrebbe evitare, un
cosiddetto loro difetto." (pp. 107-108)
Walther Pöldinger e S. Siebern della Psychiatric Institution
Wil, Switzerland, hanno scritto:
"Non è infrequente che le depressioni provocate
dalle medicazioni siano nettamente cause del presentarsi di
idee suicide." (1983, p 131)
Nel 1976 Hans-Joachim Haase della Psychiatric
Institution Landeck, Alemania, ha riferito che il numero di casi di depressioni
pericolose dopo il trattamento con farmaci psichiatrici è aumentato almeno
dieci volte rispetto il numero presente prima dell'introduzione dei farmaci psichiatrici.
L'aumento della frequenza di suicidi è "preoccupante e allarmante",
ha detto Baerbel Armbruster del Psychiatric Department della Università
di Bonn, Alemania, in the Nervenarzt in 1986 senza, ciononostante, mettere
in allarme gli (ex-) utenti e sopravvissuti alla psichiatria e i loro parenti,
né il pubblico.
Rolf Hessoe dello Psychiatric Department della Università
di Oslo, Norvegia, ha reso informazioni sulla situazione in Svezia e Norvegia
nel 1977; gli è apparso chiaro
"... che l'aumento di casi di suicidio, sia in assoluto
che relativamente, è incominciato nel 1955. Che è
stato l'anno in cui i neurolettici sono stati introdotti negli
ospedali psichiatrici scandinavi." (p. 122)
Nel 1982 Jiri Modestin ha scritto a proposito del suo posto
di lavoro, il Dipartimenti di Psichiatria dell'Università
di Berna, e anche dell'istituto psichiatrico vicino di Münsingen:
"I nostri dati mostrano un drammatico aumento della
frequenza di suicidi nei pazienti di Berna e Münsingen
negli ultimi anni." (p. 258)
Resoconti di prima mano su depressione e suicidalità
Nel libro "To come off psychiatryc drugs"
[Dismettere farmaci psichiatrici], pubblicato nel 1998, Regina Bellion di Brema
(Germania) ha dato un resoconto sulla sua condizione psichica sotto trattamento
nella comunità:
"Sola a casa. Tre volte al giorno conto le mie gocce
di Haldol. Non fo molto altro. Siedo nella mia sedia con lo
sguardo diretto verso la finestra. Non ho sensibilità
per quel che succede fuori. Trovo difficoltà a spostarmi.
Ciononostante sono abile ad alzarmi ogni giorno. Non mi accorgo
che l'appartamento sta diventando sporco. Non è necessario
che io cucini sempre. Non mi lavo. Non mi chiedo neppure se
puzzo. La mia miseria avanza ma io non me ne accorgo.
Vegeto dentro le mie pareti neurolettiche, sono chiusa fuori
dal mondo e dalla vita. Il mondo reale è altrettanto
più lontano da me che Plutone dal Sole. Il mio mondo
personale segreto il mio ultimo rifugio, l'ho raggiunto,
ma l'ho distrutto con l' Haldol.
Questa non è la mia vita. Questa non sono io. Starei
ugualmente bene morta. Un'idea ha incominciato a prendere
forma. Prima che la primavera sopraggiunga mi voglio appendere.
Ma prima di ciò voglio tentare di vedere se la mia
vita sarebbe differente senza l' Haldol. Ridurrò il
numero delle gocce . Ne prenderò sempre di meno fino
ad arrivare a zero.
Dopo un mese sono pulita. Allora incomincio ad accorgermi
quanto sono trascurata. Mi lavo i capelli, rifò il
letto, apro l'appartamento. Mi preparo un pasto caldo. Anche
provo piacere a fare questo. Posso di nuovo pensare."
(2004, p. 280)
Un' altra utente di farmaci psichiatrici, anche lei
vive a Brema, ha ricevuto una prescrizione di Haldol e dell'antidepressivo
Aponal (doxepina); sotto l'influenza di questa combinazione
lei ha tentato fortunatamente senza successo di
por fine alla sua sofferenza col suicidio:
"Quando andai di nuovo fuori io ho desiderato sedermi
nella mia cucina di fronte al rubinetto dell'acqua, ero assetata
ma incapace di riempirmi un bicchiere d'acqua o di mordere
il pane diventato duro e stantio. Il supermercato non era
troppo distante ma io non potevo decidere di alzarmi e così
desiderai di essere semplicemente morta così avrei
avuto almeno un pò di pace. Ero ridotta in pezzi dalla
mia malattia. Sapevo che era una punizione per due punti neri
della mia vita. Il peggiore è stato il cerchio vizioso
di pensieri ricorrenti continuamente in un giro chiuso psicotico.
Tantai più e più volte di pensare a qualcosa
d'altro almeno per un momento ma non ci riuscii. I miei pensieri
ricadevano sempre negli stessi cerchi, centinaia di volte
al giorno, talvolta come al rallentatore, talvolta accelerando
fino a farmi girare la testa. E questo era l'inferno per me,
il gioco del diavolo. Mi ritrovavo dannata e abbandonata da
Dio e senza speranza di salvezza. Non potevo far niente altro
se non soffrire tramite questo film, la mia vita restava sotto.
Sapevo che dovevo imparare ad aver di nuovo fede, ma non potevo,
e perciò tentai di por fine alla mia vita." (Marmotte
2004, p. 119)
Gli antipsicotici atipici hanno anch'essi effetti suicidali,
come riferisce l'austriaca Ursula Fröhlich in Brave
New Psychiatry:
"Da quando ho incominciato a prendere il Leponex (clozapine),
non ho desiderato più far sesso, non ho avuto più
fantasia di muovermi, non ho trovato più gioia nella
vita. Una vita senza gioia però è peggio della
morte. Tutto quel che mi restava era osservare la televisione,
dove ho guardato per sette anni gli altri vivere. Sono tutt'ora
viva biologicamente, ma le mie sensazioni sono da tempo morte,
nonostante che io prima mi rallegravo di qualcosa ora non
sono più capace di farlo affatto. Di fatto la mia vita
non esiste, mi trovo così vuota e non importante. Nei
pomeriggi, lo stato d'animo è ancora peggiore. Ogni
giorno mi propongo di incominciare una vita più sana
il giorno dopo, di gettare via i farmaci, di bere molte vitamine
e succhi di frutta, di incominciare un programma giornaliero
di fitness. I farmaci psichiatrici mi danno la sensazione
che sia possibile per me cominciare una vita differente, una
nuova vita, il giorno dopo. Ma quando mi sveglio il giorno
dopo mi trovo come sfasciata, non mi alzo mai dal letto prima
delle 9, la mia depressione è così grave che
penso al suicidio ogni giorno." (da Lehmann 1996, pp.
70-71)
Gli psichiatri non hanno
trovato differenze rispetto i loro primi modi di sperimentare questi farmaci.
Nel 1954 e 1955 Hans Heimann e Nikolaus Witt (1955) del Psychiatric Department
della Università di Berna hanno pubblicato la loro esperienza di aver preso
una volta la cloropromazina, ora commercializzata come Largactil. La loro esperienza
utilizzò una rete di controllo di 1080 persone; essi fecero tre auto-esperienze
e nove esperimenti con psichiatri e farmacologi. Il verificare una sensibilità
ridotta e un accorgersi di una forza muscolare ridotta, elementi strutturali della
sindrome di Parkinson, dopo aver preso il Largactil, sono molto chiari nei seguenti
passi:
"Mi sono trovato mentalmente e fisicamente malato. Improvvisamente
la mia situazione mi è apparsa difficile e senza speranza.
Soprattutto è stato tormentoso il fatto di essere così
miserabile ed esposto, così vuoto e superfluo, vuoto
di qualsiasi speranza e progetto ... (Dopo aver finito i controlli):
I normali compiti della vita mi crescevano immensi davanti
a me: pranzare, andare nell'edificio vicino, tornare indietro
- nonostante che tutto fosse da fare a piedi. Con ciò
questo stato raggiunse il massimo di situazione emozionale
sconfortante: l'esperienza di una esistenza passiva ma con
la netta coscienza di altre possibilità..." (p.
113)
Un Registro dei Suicidi come forma di prevenzione
Nel febbraio 2000 la
organizzazione tedesca degli "(ex-) Utenti e Sopravvissuti alla psichiatria"
ha avanzato la richiesta al Ministro della Salute di istituire un Registro dei
Suicidi con speciale riguardo alle associate medicine psichiatriche prese, agli
elettrochoc, alle restrizioni fisiche e alle altre forme di costrizioni psichiatriche
(Lehmann 2001, p. 46). La mancanza di una tale registrazione dei suicidi con descrizione
dei metodi di trattamenti psichiatrici, coprente tutte le zone del paese, costituisce
un serio pericolo; questi dati sono un prerequisito fondamentale per cercare le
cause, e una base importante per prevenirli in tempo. L'obbligo di notificare
alle autorità i suicidi e i trattamenti psichiatrici fatti in precedenza,
può permettere misure preventive e promuovere studi ripetibili per scoprire
la connessione tra suicidalità ed effetti dei farmaci psichiatrici. Non
solo i neurolettici, di cui si è parlato qui, ma anche gli antidepressivi
(Healy 2001; Lehmann 1996, pp. 194-201) nonché l'elettrochock (Frank 1990)
debbono parimenti essere controllati attentamente.
I resoconti di (ex-)
utenti e sopravvissuti alla psichiatria che sono stati spinti verso tentativi
di suicidio dopo dei trattamenti traumatizzanti con farmaci psichiatrici, elettro
e insulina-chock (vedi ad es. Kempker 2000) non debbono più essere ignorati.
I medici i parenti e amici debbono essere informati sul rischio di depressione
e suicidalità provocate dai farmaci. Gli utenti della psichiatria hanno
bisogno di essere informati, in modo che possano prendere una decisione accuratamente
ben informata sul prendere o meno un farmaco psichiatrico offerto, e all'occorrenza
possano prendere misure adeguate per un minor rischio di depressione.
Appendice: Continua la discriminazione rispetto gli
(ex-) utenti e sopravvissuti alla psichiatria
Alla
conferenza "Balancing Mental Health Promotion and Mental Health Care: A Joint
World Health Organization / European Commission Meeting" a Bruxelles nell'aprile
del 1999, è stata accettata l'inclusione di (ex-) utenti e sopravvissuti
alla psichiatria nel Consensus-paper per le politiche di salute mentale:
"Strategie ed obbiettivi comuni per migliorare le cure
e la prevenzione in salute mentale includono: (...) Sviluppare
ampie ed innovative politiche particolarmente per la salute
mentale in consulta con tutti gli interessati, includendo
utenti e familiari, e rispettanti i contributi dei cittadini
e del NGO." (WHO 1999 p. 9)
Una rappresentanza dell' ENUSP European Network of
(ex-) Users and Survivors of Psychiatry (= Rete Europea (ex-) Utenti e Sopravvissuti
alla Psichiatria), è stata invitata alla conferenza "Far fronte allo
stress e alla depressione e problemi correlati in Europa" (Bruxelles, ottobre
2001) ugualmente organizzata dall'Organizzazione Mondiale della Salute e dalla
sua Commissione Europea.
Ebbene invece di assicurare una attiva inclusione
nella conferenza in modo da permettere a professionisti e politici di imparare
dal tesoro delle esperienze di ex utenti e sopravvissuti alla psichiatria, non
hanno ritenuto di dover offrir loro diritti di uguali nella rappresentanza plenaria.
Anche dopo che è stato ricordato loro il Consensus-paper, il Ministro Federale
Belga degli Affari Sociali sez. Salute Pubblica ha solo chiesto al rappresentante
ENUSP di partecipare ad una discussione collaterale in un workshop (Leen Meulenbergs).
Questo è il vecchio modo di ripartire gli ruoli per
i rappresentanti degli (ex-) utenti e sopravvissuti alla psichiatria,
che potrebbero giocare un ruolo di esperti nei congressi che
particolarmente li riguardano. Questo modo di agire deve essere
respinto perché di nuovo discriminante e contrario allo
spirito dei pari diritti.
Riferimenti
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